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Roberto Martinelli si rivolge così al Giudice Cerretelli

LETTERA APERTA AL GIUDICE DEI “FRONTEGGIAMENTI” DEL 2018

in merito al comportamento dei Vigili Urbani nei confronti dei contradaioli in occasione dei fronteggiamenti e, in una prospettiva più generale, per un approccio al fenomeno Palio auspicabilmente più meditato

 Sulla sentenza del Tribunale di Siena n. 86/2025 che ha condannato alcuni contradaioli per rissa e per resistenza a pubblico ufficiale, ho già espresso il mio pensiero negli articoli pubblicati su Sunto gli scorsi 17 marzo e 3 giugno. In detti articoli facevo una prima analisi della sentenza e commentavo negativamente la fiscalità del giudice la cui logica severa gli aveva impedito di prendere in considerazione i motivi di distinzione e di specificità presenti nei fatti e nei comportamenti inerenti al Palio.

L’argomento (compreso lo specifico aspetto che affronto in questo scritto) è già stato, come noto, oggetto di importanti interventi da parte del Magistrato delle Contrade e del Sindaco di Siena; le relative prese di posizione hanno dunque, doverosamente, l’impronta e la forza dell’ufficialità.

Quelle che seguono sono riflessioni mie personali; alcune di carattere generale, anch’esse in parte già affrontate in precedenza, che a mio giudizio è utili proporre o riproporre. La forma colloquiale della “lettera aperta” è poi la speranza che i magistrati possano alfine  non rifiutare nei confronti del Palio un atteggiamento più consapevole.

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“Egregio Sig. Giudice,

                nella sentenza n. 86/2025 con la quale ha condannato alcuni contradaioli per rissa, ed alcuni di loro anche per resistenza a pubblico ufficiale, ha espresso valutazioni negative anche sul comportamento del Corpo dei Vigili Urbani di Siena. Le Guardie comunali, che secondo lei sarebbero le vittime di comportamenti tesi ad ostacolare l’esercizio delle loro pubbliche funzioni, anziché sedare la rissa sul nascere” avrebbero cercato  in un  primo momento di conciliare le parti e, in second’ordine, di proporre e immolare il proprio corpo con funzione di contenimento in attesa che si plachi la spinta dei contradaioli delle due fazioni: la polizia locale, insomma, è passiva rispetto all’evento se si eccettua l’opera diplomatica. Non solo rimane passiva, ma lascia presso il proprio comando tutti gli elementi difensivi quali manganelli, spray urticanti e manette”.

 

Egregio Sig. Giudice,

                non ho notizia che qualche Vigile Urbano sia stato volontariamente colpito da pugni o altro; qualche ondeggiamento collettivo può esserci stato e qualche cappello può anche essere caduto. Il tutto è peraltro durato circa dieci minuti, compresi i momenti di provvisoria quiete e il tempo necessario per far passare i cavalli di altre contrade e il popolo della contrada vincitrice: dopo di che i fronteggiamenti sono cessati e, come sempre in questi casi, è tutto finito, in Piazza e fuori Piazza, quella sera  e nei giorni successivi.

Allora, a cosa sarebbero serviti i manganelli e aggeggi simili? Certamente non a rendere più gestibile la situazione: forse, al contrario, sarebbero stati motivo di nervosità generalizzata e quindi pericolo di aggravamento. Il fatto è che i fronteggiamenti non hanno niente a che fare con gli scontri dei contestatori/ antagonisti/curve calcistiche/e simili con le forze dell’ordine, nei quali scontri gli uni e le altre sono muniti preventivamente di attrezzature atte a offendere e a difendersi. Le cose, nei fronteggiamenti,  stanno in modo totalmente diverso.

 

Egregio Sig. Giudice,

lei ad un certo  momento si è avvicinato al punto che conta quando ha richiamato l’opera diplomatica svolta dai Vigili Urbani, ma ne ha parlato come un atteggiamento negativo rispetto al comportamento muscolare che a suo dire la Polizia Municipale, magari in tenuta antisommossa,  avrebbe dovuto tenere nell’occasione. Il suo ragionamento è purtroppo rimasto in superficie e incompiuto.

Vorrà convenire che in occasione di confronto-scontro l’azione diplomatica per impedire o limitare episodi negativi di regola c’è, qualunque siano i soggetti tra i quali si svolge. Il fatto è che nel Palio tale azione diplomatica non viene decisa volta a volta  a seconda dei casi, ma è un’azione pensata e seguita da tempo  come quella che è più in grado di valutare e indirizzare positivamente le situazioni. E’ un modo di gestire l’ordine pubblico “ai tempi del Palio” adottato perché ritenuto e riscontrato essere il più idoneo nei casi di cui si tratta.

E questo anche perché tale comportamento dei Vigili Urbani è conosciuto e accettato dai contradaioli che per tale motivo mostrano il rispetto ad essi dovuto.

Detto altrimenti: i Vigili Urbani sanno benissimo cosa talvolta può succedere nell’immediato dopo-palio e all’occasione sanno di conseguenza come comportarsi. Da parte loro i contradaioli conoscono bene funzioni e comportamenti dei Vigili Urbani. Quindi, per quanto riguarda i contradaioli , il loro non  è “atteggiamento volto ad impedire, intralciare o compromettere la regolarità del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale”;  e per quanto riguarda  i Vigili Urbani non v’è “alcuna condotta passiva” ma al contrario un atteggiamento responsabile nei tempi e nelle modalità di svolgimento, teso ad impedire che certe situazioni abbiano a sfociare in un pericolo sociale. Gli uni, anche nei momenti di maggiore vivacità,  e gli altri, nell’esercizio consapevole del loro compito, seguono quindi canoni individuati da tempo e ad essi si attengono. Salvando, in tal modo,  anche l’equilibrio del  grande gioco del Palio.

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Egregio Sig. giudice,

                Il Palio è un fenomeno complesso che ha dietro di sé secoli di storia. E’ stato osservato (Laura Vigni) che “se oggi il Palio rimane tema di attualità lo dobbiamo in prima battuta alla singolare intuizione delle antiche istituzioni senesi che da quel lontano 1659 decisero di assumerne direttamente la direzione”. L’inizio cioè del passaggio da una organizzazione privata ad una organizzazione pubblica della Festa. Passaggio confermato in occasione delle riforme introdotte dai Lorena allorché, nel 1786, le antiche Magistrature senesi vennero soppresse e sostituite con la Comunità Civica che “ebbe un Regolamento nella sostanza simile a tutti gli altri Comuni del Granducato pur conservando la particolare attribuzione di competenza sulle corse dei palij”. Competenza che legittimamente resta tutt’ora. Anche la giurisprudenza, sia  amministrativa che ordinaria, ha riconosciuto l’unicità e l’originalità della Festa del Palio.

Il TAR della Toscana, con sentenza 12 luglio 1989 n. 572, pur trattandosi di pronuncia in tema di giustizia paliesca, ha affermato che “l’ordinamento generale si pone in una situazione di indifferenza per come  il gioco [cioè il Palio ] viene organizzato, così che è da escludersi in merito la possibilità di un intervento del giudice”. Afferma dunque il giudice amministrativo che l’ordinamento del Palio può considerarsi un tipico ordinamento della Comunità senese al quale va riconosciuta una propria autonomia rispetto alla disciplina di diritto statale degli enti locali.

Commentando la sentenza il prof. Paolo Barile scriveva che “a Siena esiste una porzione di privilegio che sfugge al diritto statale: la comunità cittadina ha indubbiamente il carattere di una comunità parzialmente autoregolantesi (nel richiamo originale ed eccezionale, se vogliamo, all’art. 3 della Costituzione, che protegge le formazioni sociali dove di svolge la personalità dell’uomo)”.

Il Tribunale di Siena, con sentenza 8.6.93 n. 73, ha osservato che “A Siena la struttura delle Contrade ha favorito l’aggregazione e la solidarietà contro l’isolamento e il rifiuto della società. Alla tradizione contradaiola e paliesca non è estranea una forte tendenza alla competitività, che talora si manifesta sotto forma di episodi violenti, sia pure circoscritti nel tempo e nelle occasioni. Spesso si tratta di confronti  tra gruppi di contradaioli in cui più che vera violenza si ha esibizione di spirito combattivo, quasi un rito di iniziazione per i più giovani, e una affermazione di vitalità per i meno giovani. La tradizione permette tali sfoghi  quasi rituali da cui non derivano rancori duraturi, ma spesso addirittura il rafforzamento di amicizie e di legami. Trattandosi alla fin fine di reati, non può affermarsi che si tratti di comportamenti positivi, ma è un dato di fatto che tali illeciti penali non giungono, di norma, alla cognizione delle autorità proprio perché la tradizione cittadina non li riconosce per tali: e per questo, e non già per un malinteso senso di omertà, li nasconde. La competitività insita nel Palio è di per sé fortemente positiva”.

 

Egregio Sig. Giudice,

                anche da questi brevi accenni non potrà non convenire o ogni caso riflettere sulla natura e sulle caratteristiche proprie del fenomeno Palio, i cui effetti da secoli non si sono limitati alla organizzazione della Festa ma hanno avuto (ed hanno tuttora) un significativo impatto sull’intera comunità cittadina. E’ un fenomeno che ha portato eminenti studiosi ad occuparsi del Palio la cui bibliografia - ricordiamolo - è amplissima e di grande valore scientifico.

                Tutto questo per dirle che il fenomeno Palio si aspetta, direi legittimamente, che chiunque  sia chiamato a valutarne l’insieme o alcuni aspetti particolari (anche pubbliche istituzioni statali e cittadine) non ometta di tener conto delle sue specificità che ovviamente si riflettono nei fatti e nei comportamenti.

Rispettosamente.

Roberto Martinelli

8 luglio 2025