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RIFLESSIONI E DUBBI DI UNO DEGLI ULTIMI  “MONTEPASCHINI”

E’ molto tempo che non mi intrattengo con i lettori di Sunto sull’argomento Monte Paschi, e poiché è tanta l’acqua passata sotto i ponti mi è venuta voglia di parlare un po’ della banca (la Banca).

Ho quindi buttato giù alcune idee personali sulla situazione attuale. Inoltre, per memoria di chi legge, ho ritenuto di ripercorrere brevemente alcuni fatti significativi della vicenda.

Chi mi conosce sa che io sono un ex dipendente del Monte dei Paschi che si considera ancora un “montepaschino”, vocabolo un po’ in disuso che ben potrebbe trovare posto nel “Vocabolario senese” di Ubaldo Cagliaritano e, tra non molto, nel libro di Alberto Bruttini “Alla ricerca delle parole perdute”. Per me continua comunque a significare un rapporto sentimentale (lo posso dire senza suscitare insulse ironie?) con un ente cui ho dedicato quasi 41 anni di vita lavorativa. Un montepaschino che, anche nei momenti più difficili e perigliosi della vita della  Banca non ha mai ritirato i propri risparmi per trasferirli altrove (al contrario dei molti, anche ex colleghi, che lo hanno fatto: legittimamente, ci mancherebbe, ma certo danneggiando la Banca nel  momento in cui aveva più bisogno di essere sostenuta). Un montepaschino sempre restio a vendere le azioni della Banca ricevute come parte della retribuzione perché riteneva,  facendolo, di mancare di rispetto al Monte.

Ciò premesso, anche ad evitare ogni equivoco, sempre possibile in questa materia così delicata,  preciso alcuni concetti: (1) riconosco in pieno i diritti, di diversa natura  e spessore, spettanti ai vari soggetti che sono interessati e coinvolti nelle vicende di Monte Paschi  e la piena legittimità di esercitare la tutela di tali diritti, con le forme e nelle sedi ritenute opportune; (2) rispetto ovviamente le sentenze che sono state e che potranno essere emesse dagli organi giurisdizionali  in materia, sperando che aiutino a fare chiarezza sui tristi ultimi anni della secolare storia di Monte Paschi.

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Una qual certa contraddizione

Molti piccoli azionisti sono pronti a promuovere azioni contro la Banca per un dovuto risarcimento dei danni subiti per aver partecipato ad aumenti del capitale di Monte Paschi sottoscritti sulla base di dati economico-patrimoniali che la magistratura ha ritenuto falsi. Anche enti pubblici e privati, che hanno titolo per esprimersi ed agire in materia, si stanno muovendo nella stessa direzione, nelle forme e con modalità coerenti con la loro natura. Ovviamente nulla da dire. Al riguardo leggo che i conseguenti  accantonamenti nel bilancio della Banca a copertura dei rischi d’esito di tali azioni  sarebbero, per la loro onerosità, di un qualche ostacolo alla ricerca di una valida soluzione per il percorso futuro di Monte Paschi.

Allo stesso tempo, cambiando prospettiva, molti tra quelli di cui sopra sembrano concordi nel chiedere a gran voce che sia salvata l’identità territoriale della Banca (magari ancora in mano pubblica) con il  mantenimento a Siena della Sede e della Direzione Generale e conseguente tutela dei livelli occupazionali. Tutto chiaro e tutto legittimo, direi doveroso.

Mi si permetta però di poter cogliere una qualche contraddizione tra la volontà di difendere la Banca come ente territoriale senese e l’intento di aggredirla con azioni per danni  in una situazione (che purtroppo dura da tempo) in cui la Banca non ha ancora raggiunto un adeguato livello di stabilità. Si dirà: c’è la possibilità di spiegare: certo, però di primo impatto sembra proprio così. Ora, che possa trovarsi un qualche equilibrio tra le due divergenti finalità è un obiettivo forse impossibile, certamente assai difficile, considerando quanto numerose sono le soggettività in campo, quanti interessi vi girano intorno e su quanti tavoli si gioca la partita. Certo però è che spetta a chi ha veramente a cuore la sorte della Banca, siano singoli personaggi o comunità o enti, far sentire la propria voce prima che sia troppo tardi.  Al riguardo non manca chi osserva che la Banca, tenuta al risarcimento a causa del comportamento dei suoi amministratori e dirigenti, ha pur sempre diritto di rivalersi nei loro confronti: vero, ma la rivalsa appare nel concreto ben poca cosa considerate le enormi cifre in ballo.

Fondazione Monte Paschi e Banca Monte Paschi: una “questione di famiglia”

Un pensiero alla Fondazione Monte Paschi. Ovviamente non entro, né punto né poco, nel metodo e nel merito della richiesta di danni avanzata dalla Fondazione a Monte Paschi. A me qui interessa solo evidenziare un aspetto (non pratico ma, direi, psicologico) della faccenda: e cioè che la vertenza Fondazione-Banca Monte Paschi è una vera e propria questione di famiglia: più precisamente “tra madre e figlia”. Perché dico questo? Perché, contrariamente a quanto molti credono, l’attuale Banca Monte dei Paschi di Siena Spa non è la diretta erede del Monte dei Paschi di Siena, Istituto di Credito di diritto pubblico, ma “una creazione” di quest’ultimo. Già mi sono occupato di questo ultimo aspetto alcuni anni fa; lo riaffronto riassumendo di seguito come è avvenuto il passaggio da “Istituto” a “Società per azioni”.

Monte Paschi, Istituto di Credito di diritto pubblico, non si è trasformato “direttamente” in società per azioni; ha invece costituito una “nuova” società per azioni denominata “Banca Monte dei Paschi di Siena spa” cui ha trasferito la propria attività  bancaria fino ad allora esercitata in proprio; ha cioè ceduto alla nuova società la propria “azienda bancaria” con tutti i beni e i rapporti che la costituivano, detenendo di contro tutte le azioni della nuova società. Pertanto  è questa nuova società che è diventata l’attuale Banca Monte dei Paschi di Siena Spa. Di contro, a seguito del trasferimento dell’azienda bancaria alla nuova società l’Istituto di credito Monte Paschi divenne “Fondazione Monte dei Paschi di Siena”, avendo nel proprio patrimonio il 100% del pacchetto azionario della Banca Monte dei Paschi di Siena Spa.

Attualmente la Fondazione detiene una piccolissima parte del capitale della Banca¸ ma la marca di origine non cambia: la Banca è figlia della Fondazione.

Comune di Siena, Fondazione Monte Paschi, Banca Monte Paschi e Ministero dell’economia e delle finanze.

In un recente Consiglio Comunale la ‘maggioranza’ ha approvato un documento alla base del quale sta la considerazione che l’azione giudiziaria della Fondazione contro la Banca per risarcimento danni servirà a rafforzare la posizione della Fondazione stessa nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) che, quale azionista di maggioranza, ha in mano le sorti future della Banca stessa. C’è una logica in questo ragionamento e quindi una sua validità: in effetti, una volta che l’azione giudiziaria sia stata iniziata, qualunque percorso venga intrapreso non la si potrà ignorare, ci si dovrà  necessariamente fare i conti.

Da parte della ‘minoranza’ c’è consapevolezza che, sia nella prospettiva di una soluzione di mercato sia in quella di uno sviluppo autonomo della Banca, l’interlocutore principe sarà sempre il Mef, azionista di maggioranza, e che l’azione della Fondazione, formalmente, contro Monte Paschi, è sostanzialmente finalizzata ad accreditarsi nei confronti del Mef per trattare i prossimi sviluppi della Banca. Ma, a quanto m’è sembrato di capire, è  proprio da qui che la minoranza fa derivare la propria posizione contraria, con cenni ora di “negatività” ora di “non opportunità”, al promovimento di un’azione giudiziaria non preceduta da almeno un tentativo di trattativa con il Ministero stesso. E anche questa posizione ha una sua logica se si considera che controparte dell’azione giudiziaria non è un privato qualunque ma lo Stato con tutto il peso anche dei motivi della sua presenza nella banca.

Non tramonta neppure l’ipotesi  (alternativa ad una soluzione di mercato) di un futuro, più o meno lungo, di Monte Paschi  saldamente in mano pubblica. Non va dimenticato che l’ingresso dello Stato nell’azionariato di assoluta maggioranza di Monte Paschi ebbe lo scopo di allontanare il rischio di un peggioramento della situazione  della Banca e che  in questa operazione lo Stato si trova ad oggi ad avere perso alcuni miliardi di euro per la riduzione di valore del capitale della Banca. Per alcuni questo ultimo aspetto potrebbe indurre il Mef a non cedere le azioni almeno fino a quando le perdite non saranno riassorbite in tutto o in gran parte; altri temono invece che questa circostanza (cioè le rilevanti perdite subite) potrebbe di contro consigliare il Mef di uscire quanto prima da tale situazione, magari privilegiando una soluzione rischiosa per la Banca sotto il profilo del mantenimento della propria identità territoriale.

Brevi annotazioni sul “caso” Mussari e Vigni

 Dopo la sciagurata operazione di Antonveneta (fine 2007), posta in essere in spregio di ogni e qualunque “buona tecnica” bancaria e finanziaria, la Banca era realmente in gravi difficoltà aggravate dalle altrettanto sciagurate operazioni messe in atto successivamente dai suoi esponenti nel tentativo di ottenere liquidità e coprire le perdite prodottesi. Come è che nel frattempo la situazione della Banca non sfociò in una conclama crisi? L’esperienza insegna che finché “i numeri ufficiali” non indicano un certo livello di “pericolosità” non è raro che, almeno per un certo periodo, le cose possano andare avanti concedendosi così tempo prezioso alla ricerca di una soluzione non traumatica. Quando però i numeri mostrano “ufficialmente” (si tratti di bilancio ordinario o di situazione economico-patrimoniale redatta per specifiche situazioni) una realtà compromessa, allora ben poco o nulla resta da fare per evitare il crollo. I “numeri ufficiali” innescano un meccanismo che è quasi impossibile fermare, salvo interventi eccezionali di salvaguardia.

 Quei numeri rivelatori di crisi evidentemente non apparivano nei bilanci della Banca: anche se in sede assembleare molti e ripetuti sono stati gli attacchi ai bilanci stessi peraltro non mi ricordo se concretizzatisi in una loro formale impugnazione in sede civile. Della materia si è in ogni caso occupata la magistratura penale, anni dopo: nel novembre 2019 infatti il Tribunale di Milano ha ritenuto non veritieri i “numeri ufficiali” risultanti da certe operazioni (e relative registrazioni contabili) di Monte Paschi nel periodo  2008-2012, condannando in conseguenza Mussari e Vigni, allora rispettivamente Presidente e Direttore Generale di Monte Paschi, per “aggiottaggio” (cioè manipolazione di mercato) e “false comunicazioni sociali”. In sintesi: ai due esponenti venivano contestati reati legati dalla comune finalità di attuare un vasto programma per trovare le necessarie risorse finanziarie collegate all’acquisizione di Antonveneta; in particolare  veniva loro contestato di aver effettuato la contabilizzazione di due titoli (indichiamoli così per brevità), denominati  “ Alexandria e Santorini”, in modo da anticipare i ricavi e al tempo stesso occultare le perdite accumulate negli anni  rinviando nel tempo la loro evidenziazione. Ciò comportava che i numeri dei bilanci annuali, riportando i ricavi ma non contenendo le perdite, si presentavano “migliori” di quanto fossero in realtà. Con ciò, tra l’altro, inducendo gli azionisti a sottoscrivere i vari aumenti di capitale.

 I legali della difesa hanno impugnato la sentenza. Si ha notizia che Il 14 maggio p.v., presso la Corte di Milano, si terrà la prima udienza del procedimento di appello.

Brevi annotazioni sul “caso” Profumo e Viola

 La situazione  reale  di Monte Paschi venne fuori nel 2012 quando Mussari e Vigni furono sostituiti alla guida di Monte Paschi da Profumo e Viola (rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato della Banca). Perché nemmeno all’epoca  scattò la crisi ufficiale? Penso ad una serie di possibili motivi, eccone alcuni: (a) certamente ha contato la dimensione della Banca il cui tracollo avrebbe potuto mettere in crisi l’intero sistema bancario italiano; (b) l’attività dei nuovi esponenti non ha risolto i problemi della Banca, ma  quanto meno ha evitato il precipizio di Monte Paschi, con tutte le tragiche conseguenze; (c) nonostante ogni tentativo di trovare una soluzione di mercato, alla fine è intervenuto lo Stato, nel 2017-2018, con l’acquisizione della maggioranza assoluta del pacchetto azionario di Monte Paschi.

Peraltro anche Profumo e Viola sono incappati nelle maglie della magistratura penale: infatti il Tribunale di Milano, nell’ottobre  2020,  li ha condannato ambedue  per i reati di “aggiottaggio” e “false comunicazioni sociali” riconoscendoli colpevoli di aver sostanzialmente continuato nelle stesse modalità di contabilizzazione contestate a Mussari e Vigni in relazione ai titoli Alexandra e Santorini. Anche su questi “numeri” valutati dal giudice ‘non veritieri’ si basano le richieste di risarcimento danni per gli aumenti del capitale sociale di Monte Paschi effettuati nel periodo Profumo-Viola.

Alcuni commentatori hanno ricordato che la condanna di Profumo e Viola è intervenuta dopo che la Procura per ben tre volte aveva chiesto l’archiviazione del procedimento,  e hanno osservato altresì che le “appostazioni contabili “ contestate avrebbero superato il giudizio, espresso o tacito, delle Autorità di controllo: il che, evidentemente, richiama il ruolo avuto in argomento da dette Autorità. I prossimi sviluppi all’esito del ricorso in appello presentato dagli interessati.                                                         

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Leggo sulla stampa locale che tornerebbe in discussione la costituzione di un Monte Paschi “medio-piccolo a servizio di Siena e dell’Italia centrale”. Una prospettiva venuta all’attenzione qualche tempo fa con pareri discordi tra chi la vedeva come una strada per salvare l’identità, anche  territoriale,  della Banca e chi proprio nella ridotta dimensione rinveniva gravi limiti di efficacia e di sostenibilità per l’attività futura della Banca. In ogni caso resta da confrontarsi con i rapporti (vincoli e impegni) contratti con l’Unione Europea.

Mi fa tristezza veder trattare Monte Paschi come un oggetto da stiracchiare qua e là a seconda del vento che soffia. Faccio voti perché si esamini a fondo e con convinzione, prima che il tempo passi, l’attuabilità di una soluzione che metta in stabile sicurezza identità e territorialità della Banca e non faccia salvo il solo brand Monte Paschi che, nonostante tutto, mantiene ancora  il suo significato e il suo valore.

Ormai lontani (e irrepetibili) i tempi in cui “babbo Monte” non era tanto un modo ironico e gentile per indicare l’ente che, oggettivamente, aveva grande rilevanza per  la vita della città, quanto l’indicazione di un soggetto vivente, di un organismo vitale che nutriva di sé i gangli della città stessa. Ricordi, ma anche riconoscenza.

 

                                                                                                                     Roberto Martinelli