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Il “pensiero unico” come “metodo” di operare

Caro Sergio,

ho letto il tuo articolo “Nell’era De Mossi non esiste il ‘pensiero unico’ della giustizia paliesca” nel quale ti esprimi in termini talvolta critici su quanto io sono andato affermando nel mio intervento del 22 giugno 2020 dal titolo “La giustizia paliesca e i rischi del ‘pensiero unico’”.

Ho letto con attenzione il tuo scritto; permettimi  però di osservare che forse non hai ben inteso quanto ho voluto dire. Te insisti a sostenere (legittimamente, dal tuo punto di vista)  che in tema di giustizia paliesca l’attuale Amministrazione Comunale ha preso le giuste distanze dalle precedenti Amministrazioni: ma aggiungi (purtroppo)  che  io vorrei “legare il passato al presente attraverso un filo storico che porta, come ha portato, ad una ingestibilità della Festa che si deve muovere con i passi della società attuale”.

Fammelo dire, in amicizia. Questa tua critica che mi rivolgi, prima che sbagliata la ritengo ingenerosa nei miei confronti. Ti sei forse scordato quanto e quante volte sono stato critico, talvolta fortemente critico, con le decisioni delle precedenti Amministrazioni, spesso, anzi quasi sempre,  proprio attraverso articoli pubblicati su Sunto?

Te citi  ed analizzi episodi del passato e le relative decisioni mettendole a confronto con le decisioni più recenti: hai quindi seguito il sentiero di valutare il “merito” delle decisioni. Ma non hai compreso che il mio scritto, “quel mio scritto” cui ti riferisci, ha rivolto la sua attenzione al diverso problema riguardante il “metodo” di operare.

Perché ho parlato di “pensiero unico”? Per i seguenti motivi, che ho descritto e che ripeto. Questa Amministrazione Comunale, in tema di giustizia paliesca, segue un percorso che si basa sui seguenti pilastri: la conclamata intenzione di impostare una propria linea di pensiero e quindi di creare una propria “giurisprudenza paliesca”; questa nuova giurisprudenza paliesca si sarebbe decisamente discostata da quella delle altre Amministrazioni; i “precedenti”, cioè le decisioni  delle precedenti Amministrazioni, non sarebbero stati presi in considerazione; i “precedenti” cui questa Amministrazione si rifarà saranno solo quelli riguardanti fatti e situazioni che saranno stati giudicati ed eventualmente sanzionati sulla base della nuova linea di pensiero. La cruda sostanza del ragionamento dunque è: “conta solo quello che penso io, quello che hanno pensato in precedenza a me non interessa”. Non voglio nemmeno insistere sull’implicita impostazione di partenza per la quale il “prima” è sostanzialmente tutto sbagliato, tanto da non voler nemmeno motivare lo scostamento dalle precedenti decisioni come invece pretende l’art. 99-bis del Regolamento per il Palio. 

Tutto questo come lo vuoi chiamare? Io ho utilizzato le parole “pensiero unico”: te, se vuoi, chiamalo in altro modo. Le definizioni servono solo per capirci, non per creare barriere linguistiche che poi, alla fine, diventano barriere concettuali. Ho altresì scritto che anche un “pensiero unico” può ritagliarsi una certa accettabilità qualora si esplichi con un senso del limite e in modo equilibrato e rispettoso delle regole. Quindi siamo sempre in tema di “metodo” di operare. Le critiche di “merito, in quel mio scritto, le ho lasciate a Sensi, citandolo testualmente tra virgolette. Ho invece fatto mie le critiche di “metodo”: in particolare con riferimento alle “regole di procedura” le quali non sono passibili di ‘valutazione soggettiva’ (come infliggere o meno una sanzione), ma chiedono solo di essere applicate. Le critiche di “merito” le potrò  affrontare in altra occasione; quelle di “metodo” ho già iniziato ad affrontarle con il mio ultimo articolo “Il Caso ‘Selva’ (Palio 16 agosto 2019)” pubblicato su Sunto del 10 luglio u.s.

Ho ritenuto di precisare quanto sopra attenendomi all’insegnamento di un mio caro amico architetto: quando le cose si fanno un po’ difficili, prima di tutto occorre mettere ordine e fare  chiarezza ad evitare che si faccia di tutta l’erba un fascio.

Sembra poi che anche il mio riferimento all’art. 98 del Regolamento per il Palio, in base al quale avverso le decisioni della Giunta “non è ammesso  alcun tipo di ricorso”, sia per te un richiamo incongruo. Questo però è quanto impone il Regolamento: e tutto  quello che è girato nel tempo intorno a questo articolo non incide  in alcun modo sull’impostazione del mio scritto.

Nel mio articolo ho altresì scritto che, diversamente da quanto sostenuto da Sensi, a mio giudizio la potestà sanzionatoria deve restare di stretta competenza degli organi comunali istituzionali. Il Comune ha la soprintendenza e la direzione dei Pali, pone le regole ed ha il diritto/dovere di applicarle. Solo l’Amministrazione Comunale ha l’autorità morale, prima che giuridica, di avere l’ultima parola in materia.  Come vedi, io continuo ad avere fiducia e a fare affidamento sull’Amministrazione Comunale, anche se ovviamente continuo a permettermi il lusso (come in precedenza) di fare le mie osservazioni. Spero che almeno su questo punto tu sia d’accordo con me.

Roberto Martinelli