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La giustizia paliesca e i rischi del “pensiero unico”

Le riflessioni che seguono sono state suggerite dalla lettura dell’articolo di Senio Sensi “Giustizia vo’ cercando – ‘Dei delitti e delle pene’ in materia di Palio e di Contrade”, pubblicato sul n. 1, maggio 2020, della rivista “Noi - Frammenti di Siena”. Articolo interessante e puntuale come è nello stile di Sensi.

Scrive Sensi che in tema di giustizia paliesca sussiste “ un problema grave in punto di diritto: non esiste procedimento disciplinare in cui la totale competenza ricada in mano di un singolo soggetto (nel nostro caso l’Assessore Delegato al Palio e la Giunta Comunale, di fatto lo stesso attore) … senza nessun controllo giurisdizionale di un organo a cui ricorrere in quanto non previsto o rifiutato, per scelta, dalle stesse Contrade”.

A queste osservazioni di Sensi accosto quelle da me già svolte negli ultimi articoli pubblicati su Sunto sul percorso intrapreso da questa Amministrazione Comunale in tema di giustizia paliesca, percorso che si basa  sui seguenti pilastri: la conclamata intenzione di impostare una propria linea di pensiero e quindi di creare una propria “giurisprudenza paliesca”; questa nuova giurisprudenza paliesca si sarebbe decisamente discostata da quella delle altre Amministrazioni; i “precedenti”, cioè le decisioni adottate dalle precedenti Amministrazioni, non sarebbero stati presi in considerazione; i “precedenti” cui questa Amministrazione si rifarà saranno solo quelli riguardanti fatti e situazioni che saranno stati giudicati ed eventualmente sanzionati sulla base della nuova linea di pensiero.

Ecco dunque il perché del titolo di questo articolo.  Se, come sostiene Sensi, ci troviamo di fronte ad un unico soggetto competente in materia di giustizia paliesca, a partire dalla fase dell’istruzione sino a quella della decisione (unicità di sostanza anche se nella forma le due fasi sono di competenza di soggetti diversi: Assessore Delegato e Giunta Comunale): se questo “soggetto unico” dice espressamente che non terrà in alcun conto quanto deciso da chi lo ha preceduto alla guida del Comune di Siena e che nel futuro varranno come “precedenti” solo le decisioni da lui stesso assunte: allora siamo chiaramente in un momento in cui le “diversità” (chiamiamole così) non hanno spazio alcuno. Ma se questo è il quadro, appare  dunque tutt’altro che arbitrario parlare di “pensiero unico”. O, se proprio si vuole, qualcosa di molto vicino.

Intendiamoci. Qualunque Amministrazione Comunale ha ovviamente portato avanti un proprio pensiero (talvolta, purtroppo, sembra avere avuto il sopravvento una “mancanza” di pensiero). Ma non mi ricordo di aver registrato una durezza di impostazione, direi una “esclusività” di opinione (nel senso proprio del termine di “lasciar fuori, non ammettere” alcuna opinione diversa dalla propria) così come prospettato dall’Amministrazione attuale.

Ciò detto, mi trovo comunque a pensare  che alla fin fine questo “pensiero unico” potrebbe ugualmente ritagliarsi una certa accettabilità qualora si esplicasse  nella consapevolezza della necessità di un limite al suo esercizio: esclusivo (perché è così che si vuole) ma comunque equilibrato, autorevole e anche autoritario quanto serve ma non inutilmente repressivo, innovativo ma non arbitrario, in ogni caso gelosamente rispettoso delle norme regolamentari approvate dal Consiglio Comunale. Ebbene: non sempre il potere sanzionatorio è stato esercitato con le modalità ora prospettate. E’ la critica in punto di fatto che avanza Sensi: “Abbiamo più volte assistito, come dimostrano studi recenti e meno recenti, che fatti analoghi se non uguali hanno subito sanzioni diverse. Certi episodi di pubblico dominio non sono stati nemmeno analizzati dal giudice pur in presenza di documenti chiarissimi, mentre è stato sufficiente un ‘sentito dire’ senza riscontro probante per giustificare punizioni ‘esemplari’. Altre volte è stato stravolto l’iter e la competenza regolamentari circa l’organo decisionale per sanzionare fatti sfuggiti all’Assessore Delegato”.

A me ora interessano  le critiche di Sensi allo stravolgimento dell’iter regolamentare: critiche che, dopo quelle di “merito”, investono “procedura” e  “metodo”. Le decisioni di “merito” (per capirsi: es. l’applicazione di una sanzione al posto di un’altra, o la non applicazione di alcuna sanzione) sono evidentemente quelle che più alimentano emozioni e reazioni. Le violazioni alle regole di “procedura” sembrerebbero al contrario meno gravi, interessano di meno perché fanno meno rumore. Ma le cose non stanno così. Le decisioni di “merito” sono di regola frutto di una valutazione; quindi hanno sempre un aspetto di ‘soggettività’ talvolta eccessivo e non giustificato. Le norme di procedura hanno invece  carattere "oggettivo", ti indicano – tra l’altro - cosa devi e cosa puoi fare e come farla e cosa non devi e non puoi fare. Non sono quindi passibili di valutazione se non in termini assai ristretti, ma chiedono solo di essere  applicate. Perché dico questo? Perché in un recente caso di giustizia paliesca la Giunta Comunale, su sollecitazione impropria dell’Assessore Delegato, per la volontà di giungere ad applicare una sanzione che non si sarebbe potuto applicare in assenza di certi requisiti “procedurali” richiesti dal Regolamento per il Palio, ha letteralmente “inventato” un procedura propria, non solo non prevista ma contraria alle previsioni del Regolamento, talmente anomala che lo stesso Sindaco ebbe espressamente a definire il suo provvedimento (emesso nell’ambito di detta procedura) come “assunto in via del tutto eccezionale e che non passi come esempio per il futuro”. Quindi una procedura “semel tantum”, da valere solo per il caso per il quale è stata inventata. Si potrebbe dire che, nell’occasione, il giudice si è fatto legislatore: ha creato la regola, poi l’ha applicata. Il “soggetto unico” di cui dice Sensi. Il “pensiero unico” che produce un obbrobrio giuridico.

 Né si tiri in ballo, a giustificazione, il cosiddetto  carattere “metagiuridico” del Regolamento per il Palio: un principio questo enunciato dal TAR della Toscana per dedurne il difetto di giurisdizione (cioè l’impossibilità di emettere una sentenza) del giudice amministrativo in tema di sanzioni paliesche. Un principio spesso citato a sproposito a sostegno delle tesi le più strane.

E’ chiaro che un tal modo di procedere è possibile solo in un sistema in cui non siano previsti controlli esterni al sistema stesso, nella certezza quindi che l’iniziativa non potrà essere censurata. Ed è questo il sistema della giustizia paliesca: escluso infatti il ricorso al Consiglio Comunale (come possibile fino a qualche tempo fa) ed esauritasi ancor prima la stagione dei ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), non resta che l’art. 98 del Regolamento per il Palio il quale dispone che avverso le decisioni della Giunta “non è ammesso alcun tipo di ricorso”. Sensi scrive che potrebbe essere affidato ad un “giudice terzo” il compito di decidere in ultima istanza sui ricorsi contro le decisioni della Giunta: un organo di nomina congiunta Comune-Magistrato formato da ex dirigenti di contrada e/o esperti della materia, con nomina annuale ed eventuale presenza del Sindaco come garante. Su questo punto io ho un’opinione diversa da quella di Sensi, un’opinione che mi porto dietro da sempre. Ritengo infatti che la potestà sanzionatoria debba restare di stretta competenza degli organi comunali istituzionali. Il Comune ha la soprintendenza e la direzione dei Pali, pone le regole ed ha il diritto/dovere di applicarle, ripartendo le varie competenze tra i propri organi. Certo, tenuto conto di quanto siamo venuti esponendo sullo stato della giustizia paliesca c’è motivo di avere perplessità nell’insistere su una tale posizione. Ma io resto convinto che solo l’Amministrazione Comunale abbia l’autorità, morale prima ancora che giuridica, di avere l’ultima parola in materia. Autorità che coincide con credibilità se l’esercizio del potere è equilibrato e rispettoso delle regole. D’altro canto mi sembra di poter osservare che un organo giudicante formato da ex dirigenti di contrada e/o esperti della materia non si salverebbe in ogni caso, pur nell’ipotesi teorica di decisioni “sempre all’altezza”, dalle ricorrenti polemiche sull’applicazione della giustizia paliesca, essendo facile a prevedersi che soprattutto gli ex dirigenti di contrada sarebbero i primi ad essere colpiti da critiche feroci, quand’anche solo strumentali, senza avere di contro posizione e mezzi di risposta di cui è invece dotata l’Amministrazione Comunale.

Voglio ancora continuare a credere in questa mia “ideologia paliesca”, nella speranza (che non riesco a ritenere utopica) che le cose possano evolversi e la situazione migliorare.

Roberto Martinelli